Cade nella comunione legale dei coniugi l’appartamento acquistato dai suoceri durante il matrimonio,
ma intestato al figlio?

 La giurisprudenza di legittimità ha risposto negativamente al quesito, precisando
che in tale ipotesi l’atto di disposizione posto in essere dai genitori, in uno
con l’intestazione formale del bene al figlio, integrano gli estremi della c.d.
donazione indiretta.

Il ragionamento degli Ermellini in effetti non fa una piega.

L’art. 179 del Codice Civile, nell’elencare i beni personali, cioè i beni che non sono
ricompresi nella comunione legale dei coniugi, indica tra l’altro alla lettera
b) “ … i beni acquisiti successivamente
al matrimonio per l’effetto di donazione o successione, quando nell’atto di
liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla
comunione …”.

La disposizione dunque parla di atto di liberalità e non necessariamente di
donazione, con la conseguenza che anche la c.d. donazione indiretta può essere
ricompresa nella previsione di cui alla lettera b) del’art. 179 c.c..

La donazione indiretta infatti consiste nella liberalità che viene attuata anziché
col negozio tipico, mediante un negozio oneroso che produce l’arricchimento “animo donandi” del destinatario della
liberalità medesima.  Essa dunque è perfettamente
compatibile con la ratio della
lettera b) dell’art. 179 c.c..

Ne discende che il bene acquisito da uno solo dei coniugi in regime di comunione
dei beni, con denaro di un terzo (di solito dei genitori), e pertanto oggetto
di donazione indiretta, non entra nella comunione legale dei beni, e ciò
perfino se il terzo non abbia dichiarato esplicitamente di voler destinare il
denaro stesso in favore del solo coniuge acquirente. (Cfr. ex plurimis Cass. Civ. 16.3.04 n° 5333).

Per dimostrare che il bene è personale è non può essere attinto dalla comunione
legale dei coniugi è sufficiente produrre l’atto di compravendita con la prova
che il danaro è stato corrisposto dal genitore.

Archivio news